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Sullo “stipendio” dei consiglieri regionali monzesi
12. Monza che cambia
Umberto De Pace


Pippo Civati Massimiliano Romeo
Pippo Civati e Massimiliano Romeo

Ho letto con interesse le interviste fatte da il Cittadino ai due consiglieri regionali monzesi, Massimiliano Romeo (Lega Nord) e Giuseppe Civati (PD), apparse giovedì scorso, aventi quale tema il loro “stipendio”. Vorrei qui fare alcune considerazioni approfittando, da una parte, della vicinanza territoriale che mi accomuna ai due consiglieri, e dall'altra facendomi forte della distanza culturale che nutro nei confronti della Lega e della stima personale che provo nei confronti di Civati, per quel poco che ho avuto modo di conoscerlo. Non corro quindi il rischio di essere di parte, tanto più che al centro del mio ragionamento non pongo la politica, quanto il tema della giustizia; pur mosso dal fine ultimo, questo si, di ridare dignità e senso al governo e alla gestione della vita pubblica in un momento storico particolarmente difficile e foriero di derive demagogiche e populiste.
Romeo e Civati dichiarano che il loro “stipendio” è pari a 9.454,00 euro netti mensili. Lo dichiarano oggi, nel quarto anno di una crisi economica che sta sconquassando il pianeta, senza alcun cenno, non dico di ripensamento, ma quantomeno autocritico. Il mio primo pensiero è stato quello di un'ulteriore conferma dell'isolamento sempre più marcato in cui si trova la classe politica nel nostro paese, pervasa da una sorta di autismo. Autismo che non risparmia due giovani politici, sicuramente onesti e impegnati con dedizione nel loro compito, i quali non capiscono che quel loro “stipendio” non rappresenta un qualcosa che va limato, aggiustato, donato a seconda delle proprie buone intenzioni o del succedersi degli scandali, ma rappresenta, in sé, un'ingiustizia. Un'ingiustizia conclamata già prima della crisi e che diventa insopportabile oggi. Un'ingiustizia per due motivi: il primo motivo e che è ingiusto che i politici decidano a proprio piacimento i propri stipendi; il secondo motivo di ingiustizia sta nel fatto che questi stipendi non rispecchino in alcun modo il livello di vita medio della comunità della quale fanno parte i politici stessi. Ad ulteriore dimostrazione, del mondo parallelo in cui vive oggi la classe politica, il suo continuo riferirsi su questi temi a colleghi o istituzioni che percepiscono qualcosa di più del proprio “stipendio”, dimenticandosi che loro dovere dovrebbe essere quello di specchiarsi nella società di cui fanno parte. Romeo e Civati sono certo che sanno che quel loro “stipendio” non trova riscontro in nessun lavoro dipendente, privato o pubblico che sia, nessun lavoro professionale o commerciale, non dico della media dei lavoratori lombardi, ma della loro stragrande maggioranza. Eppure, anche questi due giovani politici, irretiti dal sistema, non riescono a percepire la richiesta – in molti oramai rabbiosa – della necessità di un profondo cambiamento che deve attuare la classe politica a partire dalla dismissione dei propri privilegi. La dichiarazione di Romeo, di versare 2.420,00 euro al partito, non fa che acuire l'ingiustizia insita nel suo stipendio, dove il “superfluo” – a spese di noi contribuenti – viene dato ancora una volta ai partiti a fronte della marea di finanziamenti che i partiti stessi hanno saputo garantirsi da quando fu abolito il finanziamento pubblico. E dico questo con la serenità di chi, fra i pochi, nel 1993 votò contro l'abolizione del finanziamento ai partiti, e che ancor oggi è dell'idea che la politica vada finanziata e non vada lasciata in mano alle oligarchie di turno. Ma ciò di cui ha ancora più bisogno oggi la politica, non è il denaro, ma è la necessità di essere riportata con i piedi per terra, di essere disintossicata, tornando ad essere al servizio dei cittadini con dedizione, umiltà e soprattutto spirito di sacrificio; perché la politica a differenza degli altri “mestieri” deve essere improntata al sacrificio, non deve poter dar adito a privilegi e benessere, avendo sempre al centro non il proprio personale interesse ma quello dei cittadini e dei beni della comunità. Quindi il problema, di fronte a 9.452,00 euro, non è quello di diminuire lo stipendio ai consiglieri regionali, ma è quello come minimo di dimezzarlo, da subito, per poi iniziare a discutere sul ribassarlo a importi che ne giustifichino la necessità e l'opportunità.
Qualche anno fa un giovane quarantenne, grande lavoratore, prima dipendente, poi piccolo imprenditore, infine libero professionista, sempre alla ricerca di nuove opportunità, curioso, con la capacità di reinventarsi, di innovarsi, con una buona capacità dialettica, ebbe modo di conoscere un po' più da vicino il mondo politico regionale e un giorno mi confessò: “Certo che con il senno del poi, altro che studiare, rischiare del mio, investire i soldi … se dovessi rinascere farei il politico!”. Il dramma non sta nella sua affermazione, in quanto detta da una persona che di politica non si è mai interessata nella sua vita, quanto nel suo aver colto un'opportunità lavorativa come un'altra, aver colto un'opportunità persa di fare un lavoro onestamente, come son certo che lui sappia fare, e al contempo però di guadagnare di più di quanto avesse potuto fare fino ad allora con tutto l'impegno profuso nel mondo del lavoro e nello studio. Ebbene, questo privilegio percepito e assolutamente reale proprio del mondo della politica, dobbiamo fare in modo tutti che cessi di essere tale.

Umberto De Pace

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  1 ottobre 2012